Pubblichiamo il discorso del Presidente Fabrizio Cesetti in occasione della cerimonia di premiazione dei Maestri del Lavoro del territorio fermano, organizzata dalla Provincia di Fermo in collaborazione con la Federazione Maestri del Lavoro d’Italia - Consolato interprovinciale di Fermo e Ascoli Piceno.

 

Ancora una volta, per il quarto anno, con piacere ed orgoglio ospitiamo in questa Sala la cerimonia di saluto a sei cittadini di questo territorio, già premiati con la “Stella al Merito del Lavoro”:

DONATELLA CIMADAMORE, di Rapagnano, 30 anni di servizio presso la “Ciao Bimbi SpA” di Fermo;

GUIDO MECOZZI, di Monterubbiano, 28 anni di servizio presso la “Faam SpA” di Monterubbiano;

FAUSTO PAGLIARINI, di Monterubbiano, 34 anni di servizio presso la “Faam SpA” di Monterubbiano;

EUGENIO NARDONI, di Monterubbiano, 48 anni di servizio presso la “Autoservizi Piergallini Renzo e c. snc” di Monterubbiano;

GINA PACINI, di Montegranaro, 26 anni di servizio presso la “Idea 84 srl” di Montegranaro;

PAOLO TARTUFOLI, di Montegiorgio, 32 anni di servizio presso la Carifermo SpA.

E’ un momento insieme, di festa e riflessione. Festa, ovviamente, perché esprimiamo oggi la gratitudine e l’ammirazione di un territorio, ma anche dell’ intero Paese verso delle cittadine e dei cittadini che hanno voluto e saputo fare del lavoro una ragione di vita; non l’unica, probabilmente, ma sicuramente tra le più importanti; dedicando ad essa impegno, rigore, creatività, cioè, nel corso di una lunga parte della loro esistenza, un’enorme mole di energie fisiche, intellettuali e morali.

Ho detto che questa è anche, per noi, una occasione per riflettere. E riflettere sul lavoro, sulla sua centralità nell’organizzazione sociale, sulla sua dignità, sulla tutela della sicurezza; quindi sul diritto al lavoro e sui diritti del lavoro è quanto mai necessario nella fase storica che viviamo. In questi giorni, è in uscita, per la casa editrice Einaudi, un bel libro di uno scrittore fermano (Angelo Ferracuti) che racconta una tragedia del lavoro di tanti anni fa: la vicenda degli operai del cantiere Mecnavi, a Ravenna, nel 1987. S’intitola, simbolicamente: “Il costo della vita” e parla soprattutto, appunto, della dignità dei lavoratori, del fatto che il lavoro dovrebbe essere sempre, come è stato nel vostro caso, strumento di realizzazione e di emancipazione, non di sfruttamento o addirittura di morte.

Produrre, creare, elaborare, organizzare, come voi avete fatto per voi stessi e per il corpo sociale, è uno dei più alti esempi di utilizzo delle qualità umane, quelle che rendono una vita degna di essere vissuta. In questo riconoscimento c’è dentro – solo simbolicamente, certo – ogni vostro sacrificio, speranze realizzate come anche, probabilmente, difficoltà e insuccessi, cioè la vita reale: quella a cui sempre più le istituzioni e la politica dovrebbero guardare ed a cui dovrebbero dare rappresentanza e risposte; con meno retorica e più concretezza e rispetto.

Davanti a noi, a tutti noi, alla nostra generazione, è di fronte un macigno a cui non possiamo e non vogliamo arrenderci: il fatto che i nostri genitori, come i nostri nonni prima di loro, potevano legittimamente sperare e pensare che i loro figli avrebbero avuto – proprio a partire dal lavoro - un futuro migliore, di maggiore realizzazione e sicurezza. Invece, noi dobbiamo oggi, con onestà, registrare che qui si misura il più importante rischio di fallimento e sconfitta dell’Italia repubblicana: circa il 40% dei giovani è senza lavoro; il dilagare di lavori precari e, spesso, senza tutele; un disinvestimento sulla formazione e la ricerca; in sintesi è in discussione il futuro di questa e delle prossime generazioni, in un paese che ha – e voi ne siete una testimonianza diretta – tutte le risorse e le potenzialità per rialzare la testa, per assumere su di sé la responsabilità verso le donne e gli uomini giovani di oggi e dell’immediato futuro. No, non ci possiamo rassegnare e non intendiamo rassegnarci. Dobbiamo finalizzare ogni nostra attività, ogni progetto, ogni politica a questo obiettivo, senza il quale i tanti sacrifici e i tanti sforzi di cui voi siete, appunto, testimonianza vivente, verrebbero ridimensionati o addirittura vanificati e questo una democrazia, ma direi, in generale, la civiltà umana non se lo può permettere. Ecco che dunque, a ciò che abbiamo detto prima - festa e riflessione - si deve aggiungere un terzo significato di questa nostra cerimonia, quello dell’impegno, dell’assunzione comune di responsabilità delle nostre generazioni verso quelle giovani e quelle future, non in un’ottica paternalistica o moralisticamente protettiva, ma nel non negare loro il diritto di poter - pur con sforzo e sacrificio - usare le loro qualità per progettare e realizzare il più liberamente possibile la loro esistenza, cioè nel non negare il loro diritto al futuro.